venerdì 10 agosto 2012

MERCENARI DI KISLEV: sull'orlo della follia

CAPITOLO 3 - SULL'ORLO DELLA FOLLIA

Il freddo penetrante.
La neve al di sotto delle possenti zampe.
E il sangue, caldo, che con il suo gusto pieno e pungente gli inondava le fauci possenti...

Nikita si svegliò di soprassalto, fradicio di sudore.
Per l'ennesima volta si passò una mano sul volto, cercando di scacciare via la sensazione di essere ancora un possente orso bianco di Kislev; il sogno era ormai ricorrente e sempre più vivido da quando aveva perso Jorik, il suo più fidato amico... non un semplice orso addestrato, ma un sincero e fedele compagno d'armi.
Alzandosi lentamente e mettendosi sulle spalle il proprio pesante mantello di pelliccia, Nikita osservò i due guerrieri (Vassily e Boris) che si allenavano nel corpo a corpo sotto l'occhio spietato di Vladimir, il secondo Cosacco della squadra: Ivan, l'ex-Druzhina disertore, Nina la "collega" di Vladimir, Josef l'Esaul e i suoi due giovani figli dovevano essere a caccia da qualche parte.
Estraendo il proprio pugnale e cominciando a limarlo contro una roccia presa da terra, Nikita ripensò a come era finito assieme a quell'accozzaglia di particolari personaggi... e a quanto poco in realtà sapesse su di loro; sapeva che Ivan, Nina, Vladimir e i due guerrieri erano parte di una piccola spedizione che il Boiardo Peter aveva mandato nei pressi della corrotta cittadina di Praag: da quello che raccontava il loro peculiare leader, tutta la spedizione era una trappola e loro cinque erano gli unici sopravvissuti, che hanno deciso di darsi alla macchia una volta compreso che qualcuno vicino al Boiardo (se non il Boiardo stesso) li voleva morti.
Di Josef e i suoi due ragazzi, invece, sapeva che erano stati messi dallo stesso Boiardo sulle loro tracce e che una volta sul punto di catturarli si erano uniti a loro per qualche particolare motivo.
E lui? Perchè aveva deciso di seguire Ivan e i suoi nella ricerca di denaro e fama, due cose che assolutamente non avevano mai avuto attrattiva alcuna su di lui?
All'inizio, Nikita si era appellato "al caso": un gruppo di sbandati come un altro andava bene per un uomo la cui vita aveva perso totalmente di senso dopo la morte della propria anima gemella.
Ma non era questa la realtà, aveva capito dopo i primi giorni... c'era qualcosa in più che lo legava a questa masnada di disperati.

Rinfoderando il pugnale, Nikita rimase a guardare Vassily e Boris che continuavano il proprio duro allenamento, senza in realtà vederli davvero, ma continuando a girovagare per gli abissi della propria mente.
Lui sapeva l'opinione che gli altri avevano di lui... la poteva sentire sussurrata nella notte: un Addestratore di orsi che perda il proprio compagno di una vita non mantiene mai la sanità mentale a lungo (e, certamente, il fatto che portasse la pelliccia di Jorik come mantello e una collana fatta con i suoi denti come collana non deponeva a suo favore).
Beh, la verità era che Nikita non si sentiva di dare loro troppo torto... anzi.
Tutti loro, forse, erano nelle sue condizioni. Ivan e gli ultimi sopravvissuti della sua unità, Jorik e i suoi figli... forse tutti loro avevano perso qualcosa di troppo importante nelle proprie vite per non cedere almeno un po' alla follia.
Certo, loro non si gettavano nel pieno della mischia con gli occhi iniettati di sangue e la voglia di riempire il proprio vuoto con la morte... non tutti, almeno. Però nelle poche battaglie che avevano combattuto nella discesa da Kislev verso l'Impero, Nikita li aveva osservati bene: anche loro, proprio come lui, non avevano più nulla da perdere nelle loro esistenze. Non c'era più nulla che potesse fare loro troppo male, o essere troppo spaventoso da farli indietreggiare.

Avvicinandosi lentamente ai due guerrieri, che ora si stavano studiando pronti a lasciarsi nuovamente andare alla loro scazzottata di allenamento, Nikita ebbe un ultimo, distinto pensiero: "Si, ecco quello che ci lega. Siamo un po' tutti delle belve rabbiose.".
Battendo una mano sulla spalla di Vladimir, l'Addestratore di orsi si unì all'allenamento, sotto lo sguardo confuso, stranito e un po' inquietato dei tre compagni.

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